Briganti a Monterado: l'agguato al conte Faina

PDFStampaE-mail

giuseppe bellucci, francesca ceci, archeotuscia, conferenza,BAGNOREGIO - Secondo apprezzato appuntamento con la rassegna dedicata dall’Archeotuscia al territorio di Monterado, ed ospitata proprio su quelle terre. Nata da un’idea dei bagnoresi Luciano Proietti e Giovan Battista “Titta” Crocoli, si svolge nella sala convegni del Convivia Village. Sabato scorso, alla presenza del sindaco Bigiotti che ha ancora una volta ricordato l’importanza della storia e del passato, il colonnello dei carabinieri Giuseppe Bellucci e l’archeologa Francesca Ceci hanno coinvolto il pubblico su “Il brigantaggio nel territorio bagnorese – L’uccisione del conte Claudio Faina a Monterado”.

(Guarda la photo gallery)

L’incontro è iniziato con uno stornello a tema cantato da Bellucci, che ha poi avviato un interessante viaggio nel fenomeno, partendo dal concetto base che per decenni ha rappresentato l’immaginario collettivo: che il brigantaggio potesse rappresentare, nell’immaginario sociale, l’ideale di libertà e riscatto. In realtà il fenomeno non era altro che delinquenza abituata a controllare un territorio, dove in gran parte regnava ignoranza e povertà.

 

“Non dobbiamo scordarci che erano uomini senza Dio – ha precisato il colonnello dell’arma – per cui la vita non valeva nulla. La grande divisione tra latifondisti, vicini allo Stato Pontificio, e poveri era terreno fertile; inoltre i contadini trascorrevano le serate nelle bettole, bevendo ben oltre il lecito e usando troppo spesso il coltello, utensile indispensabile in campagna che diventava spesso strumento di difesa o di offesa. Le masse povere vivevano una vita sempre al limite della legalità, nonostante l’impegno dei carabinieri, che avevano comunque lo svantaggio di conoscere molto poco il territorio”.  Bellucci ha poi descritto la difficoltà di identificare i briganti, e dell’evoluzione che mano ha avuto il mondo dell’investigazione, con l’applicazione della biometria.

 

Nel territorio viterbese, dopo la metà dell’800, furono protagonisti alcuni briganti celebri, Ansuini, Menichetti, efferati e violenti, e su tutti Domenichino Tiburzi, diventato brigante come reazione di una multa da 20 lire, ricevuta perché scoperto a rubare erba per i suoi animali. Dal primo omicidio, via via ne sono seguiti tanti, ben 17 e 24 anni di latitanza. Per il territorio si inventò la “tassa sul brigantaggio”, una sorta di pizzo ben sopportata dai latifondisti, che ottenevano protezione, e che permetteva anche una piccola ridistribuzione ai poveri, operazione che gli fruttò il soprannome di “livellatore”. La sua fine, dopo tanta latitanza, grazie all’impegno di un capitano dei carabinieri, che analizzò il territorio e strinse sempre più il cerchio, fino ad una notte piovosa in cui Tiburzi si sentì scoperto e iniziò a sparare all’impazzata dalla porta di una masseria. Un bersaglio facile per gli uomini dell’arma, che lo colpirono mirando dritti alla sagoma che appariva dalla porta, e fu la fine per un uomo che stava diventando un mito.

Conosciuto, nei dettagli, il contesto storico del brigantaggio, Francesca Ceci ha raccontato la “saga” della famiglia Faina, ricchi latifondisti orvietani, divenuti poi nobili con il titolo di conti, come premio per la vicinanza allo Stato Pontificio. Tre i fratelli protagonisti della storia dei Faina: Mauro, ribelle e libertino, a cui si deve la grande collezione d’arte della famiglia; Zefferino, sposo di Luciana Bonaparte, nipote del principe di Canino, che raccolse gli oggetti ritrovati a Vulci; Claudio, l’unico cattolico che seguì le orme paterne.

Dai racconti dell’archeologa è uscita l’esatta fotografia di una famiglia che ha fatto la storia di Orvieto, i cui beni sono poi diventati fruibili dalla popolazione, con un museo e una fondazione  che mette in mostra l’importante collezione raccolta nel tempo dai Faina. “Il prossimo mese – ha anticipato Francesca Ceci – si svolgerà proprio ad Orvieto un convegno che presenterà la mostra dei quadri, bellissimi, di Giuseppina Anselmi, moglie proprio di Claudio Faina”.

La conferenza si è conclusa con il racconto dell’assalto al conte, protagonista ancora una volta Giuseppe Bellucci: il conte subì un aagguato durante il viaggio di ritorno in carrozza, che da La Quercia lo riportava ad Orvieto. Aveva partecipato ad una fiera, era il 25 maggio 1874: il brigante Bischerini, bramoso di vendetta perché in passato denunciato da Faina, organizzò un assalto, all’altezza di Monterado.  Lo rapì e mandò il notaio Montini a chiedere il riscatto: ben 30mila lire. Il figlio Eugenio si avviò verso l’appuntamento, ma prima avvertì i carabinieri. Gli scagnozzi di Bischerini se ne accorsero e fu la fine per il conte, che fu brutalmente ucciso e a cui rubarono anche le 8mila lire che aveva guadagnato alla fiera querciaiola.

Il prossimo appuntamento con le conferenze bagnoresi dell’Archeotuscia, che proseguono alla gustosa tavola del Convivia Village, è in programma il 19 maggio, quando il geologo Giuseppe Pagano spiegherà la nascita della roccia tufacea locale, la basaltina, e soprattutto il suo uso nell’architettura.

Teresa Pierini