Un libro sulle vittime delle foibe: per mantenere vivo il ricordo di un dramma

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Il giornalista e dirigente nazionale del Comitato 10 Febbraio, Silvano Olmi, ha riassunto le vicende storiche di quelle terre, da sempre italiane, ha ricordato il dramma delle foibe dove furono precipitati, spesso ancora vivi, migliaia di italiani. Inoltre, ha elencato i 14 martiri, nati a Viterbo e provincia, che subirono la morte nelle foibe o nei campi di sterminio jugoslavi. In particolare si è soffermato sull’ultimo censito in ordine di tempo, il carabiniere Giulio Mancini originario di Civitella D’Agliano, il quale il 25 giugno 1945, a guerra abbondantemente finita, venne sequestrato da partigiani comunisti slavi, torturato tutta la notte, infine ucciso con un colpo di pistola alla nuca e il suo cadavere abbandonato alla periferia di Gorizia.

Il presidente della sezione viterbese del Comitato 10 Febbraio, Maurizio Federici, ha ricordato l’italianità delle terre cedute dall’Italia alla Jugoslavia e ha elencato i nomi italiani di varie città, nomi spesso sconosciuti anche agli italiani di oggi, immemori delle vestigia e della millenaria storia che in quelle terre è stata scritta dai romani e poi dai veneziani e infine dagli italiani. Federici ha concluso il suo intervento auspicando che lo spettacolo “Magazzino 18”, dell’attore Simone Cristicchi, sia messo in scena al Teatro dell’Unione di Viterbo appena sarà nuovamente agibile e ha dato appuntamento a tutti per domenica 7 febbraio 2016, per il corteo patriottico che partirà alle ore 10.30 da piazza Giuseppe Verdi.

Particolarmente incisivo l’intervento di Carla Isabella Cace, esule di terza generazione, che ha raccontato l’emozione delle visita al Magazzino 18 di Trieste, che contiene gli oggetti di vita quotidiana di chi fu costretto a scappare. “Spero che diventi presto un museo – ha detto la giornalista – in quel magazzino pieno di ricordi sono morte le anime e i sogni di tanti nostri connazionali, costretti ad essere profughi in Patria per non rinnegare la loro italianità”.

Al termine della manifestazione, il pubblico ha potuto ascoltare il saluto dell’altro autore del libro, Jan Bernas, in collegamento telefonico da Bruxelles. “Con le mie fotografie – ha detto il giornalista e fotografo – ho voluto rendere verità a questa storia, dare la percezione, a chi leggerà il libro, del dramma vissuto da queste persone. Quando sono entrato nel magazzino mi ha colpito l’enorme ammasso di sedie, oggetti di vita quotidiana più disparati, dalle fotografie ai quaderni degli scolari, dai semplici bottoni ai mobili di casa. Magazzino 18 – ha concluso Bernas - è un monumento della nostra storia nazionale, da rendere al più presto visitabile al grande pubblico.”